Andare via dall’Italia. O no?

Periodicamente vengono fuori certi post indicatori.

I post indicatori sono quelli che ti indicano la via.

Dove devo andare? Di là.

Chi è andato urla “Pappemolli!”,  chi è rimasto “Traditori!”.

E in mezzo a ‘ste due fazioni che si tirano i pomodori: tu.

In silenzio.

Mangi una merendina del Mulino Bianco.

Siamo in Italia; un vantaggio ce lo dovrai pure avere.

Dicevamo.

Il punto è che ovunque andrai ci sarà sempre quello più traditore e l’altro più pappamolla di te.

I post indicatori fanno sorgere le solite questioni: chi dice il sole, chi la famiglia, chi la solitudine, chi il rispetto sociale.

Leggi uno per uno i commenti e non sai da che parte stare, che troppo spesso vedi affrontare il problema superficialmente; mica come l’articolo che hai letto qualche giorno prima; ma è in inglese e poco provocatorio, quindi non farà molta strada.

Così ti siedi.

Chiudi gli occhi.

Assapori i biscotti.

Andare via dall'Italia

E sogni un mondo in cui andare via dalla propria casa, città o Paese non sia visto come un atto di terrorismo; ma come una dimostrazione che questo mondo ci appartiene, che è roba nostra.

Che imparare a vivere usi e costumi diversi da quelli a cui siamo abituati sia segno di cultura, non di una tragedia finanziaria.

Quante occasioni di ascolto bruciate con insulti su argomenti che poco conosciamo.

Forse perché andare via ti segna per sempre.

Ma anche non andare via, sapendo che potresti, lo fa.

 

Parlerò di questo argomento a Maggio al Digital Festival a Torino. Verrai a trovarmi?

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13 Comments on "Andare via dall’Italia. O no?"

  1. Stefano says:

    Ciao Luca,

    hai colto perfettamente lo spirito dei giovani d’oggi, nei quali purtroppo e per fortuna mi ci rispecchio appieno.

    Siamo davanti ad un bivio, più scorre il tempo e meno saremo propensi a partire. Ho 28 anni e sinceramente il salto vorrei farlo entro i prossimi due anni, purtroppo l’Italia ai suoi figli sembra offrire molto poco.

  2. Marcello says:

    Caro Luca, ti leggo sempre con piacere. E’ la prima volta che commento però. Io ho aperto una piccola ditta di grafica e stampa 5 anni fà, a 25 anni. Non posso dire che ce l’ho fatta perchè è dura tutti i giorni, ma si va avanti. Incontro splendide persone e i soliti dinosauri italioti, quotidianamente. La riflessione, tornando al tema del blog di oggi è questa: ma se tutti i talentuosi e bravi delusi che se ne sono in qualche modo andati (anche a ragione intendo) fossero rimasti non è che magari avrebbero potuto contribuire a migliorala assieme questa nazione che ha un grande potenziale? Tanti saluti e buona giornata! M_

    • admin says:

      Ciao Marcello,
      domanda complicata la tua.
      Ti dico come la vedo: la stessa persona di talento che si trova in Italia è diversa da sé stessa dopo qualche anno all’estero. Tutt’altra roba.
      Per cui se tutti fossero rimasti, solo in pochi avrebbero espresso tutto il loro potenziale come invece hanno/avrebbero fatto all’estero .
      Non tanto perché la società non gliel’avrebbe permesso, ma perché in Italia non potendoti molto spesso confrontare con gente motivata e brava, alla fine ti adatti allo stato delle cose.

      • Domenico Gravagno says:

        Ottima risposta Luca, concordo pienamente. Anche se spesso non è necessario trascorrere qualche anno all’estero, ma spesso bastano anche solo pochi mesi. A questo punto forse si dovrebbe scrivere qualcosa di diverso rispetto agli attuali post “vado o non vado”; forse si dovrebbe iniziare a scrivere “Vai, ma torna presto e applica qui quello che hai imparato”. Un caro abbraccio e continua così!

        • tristan says:

          “Parti lascia questo Paese… Cresci, Migliorati…. e poi “Torna con i sogni di un ventenne e le spalle di un adulto”"

      • Claudia says:

        Sacrosantissime parole, Luca! :)

  3. ig says:

    Cari ragazzi, ho molti più anni di voi, 44 per l’esattezza. Sono appena tornata dall’australia, dove mi sono risposata e ho deciso di trasferirmi là. E’ la seconda volta che emigro: la prima a 26 anni dopo la laurea. Ho vissuto tre anni a Bruxelles, accumulando bellissime esperienze di lavoro. Ho fatto l’errore di ritornare in Italia, sperando ingenuamente di riuscire a metterle a frutto, contribuendo così alla crescita del mio paese. Dopo pochi anni mi sono resa conto di aver fatto un grande errore, pagato caro. Non ho ricevuto altro che porte sbattute in faccia, umiliazioni continue da parte di incompetenti e ignoranti (e pure invidiosi), che puntualmente sedevano in posti di comando. E’ stata una discesa all’inferno, culminata nel precariato più selvaggio e malpagato. Ora la vita mi ha riservato un’altra opportunità, che non mi sono lasciata scappare. Certo emigrare alla mia età è durissima, ci si lascia dietro metà della vita, genitori anziani, affetti e abitudini radicate. Ragazzi cari, voi non abbiate dubbi, il mondo è nelle vostre mani, andate, lasciate questo paese ingrato che vi condanna alla mediocrità e che si condanna da solo alla rovina. In bocca al lupo.

    • admin says:

      Ciao Iria, massimo rispetto per la tua decisione.
      In bocca al lupo!

    • Stefano says:

      E’ questo il problema. Partire per non tornare più? Abituarsi ad arrancare in questa melma o spiccare il volo? Spesso proprio chi non ha niente da perdere è il primo ed il più motivato a partire.

  4. Elda says:

    Ciao a tutti e grazie Luca per questa opportunità di confronto su una questione, secondo me, sempre più pressante. Sono una donna di 51 anni, madre di due ragazzi di 26 e 28 anni. Nella mia vita ho fatto tanti lavori diversi, a partire dai 13 anni in poi. Ho avuto la fortuna di poter crescere i miei figli, e oggi sono iscritta all’università e conto di laurearmi il prossimo anno.
    Tuttavia la vita mi pone ora in una situazione di grande indecisione: mio figlio Alessio sta per completare i suoi studi in ingegneria edile, dopo di che vuole andare a fare un master in Australia, cosa che, se anche mi scombussola un pò, appoggio in pieno. Anzi, poichè il mio futuro non prevede una forma di pensionamento, se non quella sociale, e così è anche per mio marito, sto valutando l’idea della mia amica Zary che vive a San Francisco (città bellissima, tra l’altro) di andare a vivere lì ed aprire un coffee shop.
    Amo il nostro paese, ma è troppo difficile viverci. Sogno un posto dove non si debba lottare per ogni piccola cosa, dalla fila all’ufficio postale, al doversi barricare in casa per paura di essere oggetto di rapine o peggio. L’altro mio figlio è un cineoperatore laureato che non potendo contare su uno straccio di lavoro continuativo, si accinge ad un dottorato che FORSE lo farà arrivare ad insegnare a 40/45 anni. E intanto? Di cosa vive? Di 300 euro al mese in un call center?
    Scusate lo sfogo, ma la verità è che qui non vedo vie d’uscita, anche volendo avviare un’attività (di nuovo), ne vedo troppe che chiudono, e non me la sento. Però avrei bisogno di lavorare per dare una mano a mio marito, che seppure sia un libero professionista, sta accusando la crisi economica e fa fatica a pagare lo stipendio alle due impiegate che ha (che io non posso sostituire perchè sono le mie due sorelle e con quello stipendio ci vivono).
    Accetto consigli e suggerimenti e a tutti i giovani che mi potrebbero essere figli dico: andate, il mondo è tanto grande e bello, già solo per questo vale la pena di partire.
    A Luca una domanda tecnica: la mia amica di San Francisco dice che per avere la Green Card per lavorare in California bisogna disporre di 250 mila dollari. Tu ne sai qualcosa?
    Grazie e continua così, io continuerò a leggerti. Ciao.

  5. piergiacomo says:

    innanzitutto essendo di Torino, ti verrò ad ascoltare al Digital Festival, te tocca. ;-)
    Il problema (grandissimo) è che una quindicina di anni fa ci fu l’inizio di una Rivoluzione paragonabile solo a quella Industriale di fine ’700, che stravolse il mondo lavorativo in ogni sua forma ed è, ovviamente, la rivoluzione informatica che, ancora oggi, le nostre piccole/medie società non hanno fatto “entrare” nelle proprie aziende, se non superficialmente; sopratutto per pigrizia mentale o per non doversi spostare dalla propria “zona di comfort” o per una non conoscenza del mondo internet, portando, cosi, ad una lenta agonia le proprie attività (tra l’altro dando la colpa alla crisi!!) con chiusura di un numero enorme di aziende, molte delle quali, vere e proprie eccellenze lavorative del territorio con conseguenze sulle famiglie che ci lavorano/lavoravano e l’indotto collegato ad esse. L’esigenza di partire diventa una necessità per chi il mondo informatico lo ha abbracciato almeno in modo “normale” senza essere webmaster o capire di codici o di algoritmi informatici ma utilizzandolo per tutte quelle facilità che da esso ne scaturisce e qui l’obbligo di partire per poter trovare società e socializzazione (e metodi lavorativi) di un mondo odierno che è obbligatoriamente fuori dai nostri confini ben lontano dal nostro mondo passato, stra-passato. Non sapete quante delle nostre aziende utilizzano ancora le macchine da scrivere nella loro quotidianità.. E se non si parte da qui…
    pier

  6. Claudia says:

    E comunque anche l’articolo linkato e’ stupendo! e verissimo!

  7. Elisabetta says:

    Ciao,
    leggo sempre volentieri quello che scrivi.
    Ho quasi 30 anni e da un anno vivo in Germania. Prima di partire anch’io ero combattuta tra il “partire e ciao a tutti” o il “restare e cercare di cambiare”. Dopo un anno qui ho capito però che il mio posto è a casa, in Italia, e che devo/voglio crearmi un futuro a casa mia. Sono convinta però che farlo sia necessaria un’esperienza all’estero: un’esperienza all’estero ti da quella carica in più, quell’arma in più per affrontare il problema “vivereinitaliaatrentanni”.